Chiara Cinelli


Daniela Giovannetti. La natura segreta delle cose.

In questa nuova mostra personale, ospitata presso gli spazi espositivi del Museo Francesco Gonzaga di Mantova, l’artista lucchese Daniela Giovannetti presenta al pubblico il frutto della sua attività recente, che oscilla fra la rivisitazione di temi a lei cari, come la rappresentazione della Natura e dei suoi elementi, e inediti percorsi di ricerca, nei quali L’artista esplora nuovi contenuti e sorprendenti soluzioni stilistiche.

Un quinquennio operoso rappresentato in mostra in un articolato itinerario visivo che accompagna il visitatore attraverso differenti contesti figurativi: le stagioni della Natura e i suoi quattro elementi originari, le rarefatte atmosfere degli interni e quei semplici oggetti d’uso quotidiano che, accarezzati dal sentimento del ricordo, svelano l’emozione dell’artista; per giungere, infine, ai cumuli di libri accatastati – commosso omaggio all’opera “I Sette Palazzi Celesti” di Anselm Kiefer – che si ergono a formare gli instabili monumenti della conoscenza, fragili custodi della memoria umana. Opere che trovano unitarietà in una figurazione rarefatta e trasognata, ai limiti dell’astrazione, sospesa in un tempo fuori dal tempo e in uno spazio più spirituale che fisico, che diventa la scena silenziosa di una rappresentazione simbolica, carica di mistero e di antiche suggestioni.

La rappresentazione messa in scena dall’artista è il frutto di una sapiente composizione delle figure nello spazio, in cui il pensiero e l’immagine si fondono nella sintesi finale dell’opera. Nelle tavole che compongono “le quattro stagioni” gli elementi naturali sono disposti nello spazio senza nessi evidenti formando, ciononostante, un insieme perfettamente armonioso. In questa, come in altre opere dell’artista, ritroviamo l’essenzialità espressiva dell’antica arte poetica dell’haiku giapponese, che nasce dall’idea di riportare il linguaggio alla sua pura essenza, eliminando ogni fronzolo lessicale e cercando di arrivare a farsi voce pura della natura e delle sue stagioni.

Un genere poetico amato da molti letterati e artisti contemporanei, fra i quali il regista russo Andreij Tarkoskij che considerava l’antico haiku esemplare di un tipo di “osservazione allo stato puro”, un modello di parola evidente e aderente alla “cosa”, la-cui esattezza e precisione costringono a sentire la forza della poesia e a percepire quella che il regista definisce “l’immagine vitale” delle cose.

Nelle opere di Daniela Giovannetti ritroviamo questa stessa esattezza e purezza di segno in cui si realizza la perfetta sintesi di immagine, pensiero ed emozione. Nel commentare la produzione poetica di Borges, che realizzò alcuni bellissimi haiku, Claudio Magris afferma che in essi si manifesta “l’incanto di un attimo in cui le cose sembra stiano per dirci il loro segreto”. Queste stesse parole potrebbero raccontare il mondo poetico di Daniela Giovannetti, che si articola nella nitidezza di un linguaggio senza sbavature, capace di creare inattese relazioni fra gli oggetti rappresentati, schiudendo le porte a un mondo fatto di mistero e magia. Il vuoto che si crea tra le forme lascia spazio all’emozione dell’osservatore che è invitato a completare l’opera con il proprio personalissimo sguardo.

Nei più recenti percorsi di ricerca dell’artista si possono distinguere due principali direzioni che solo apparentemente seguono strade disgiunte, ponendosi, in realtà, in unico profondo tracciato, che affonda le sue radici in una riflessione sulla memoria e sul tempo. Culmine e insieme sintesi di questa ricerca è l’opera “Frammenti”, una composizione di piccoli quadri che ruotano intorno a una figura centrale dai contorni sfumati, quasi indecifrabile all’occhio, in cui possiamo leggere il tentativo di rappresentare in arte la fuggevolezza del tempo, che si consuma in una serie di attimi inafferrabili; per contro, tutt’intorno a questa figura centrale, l’artista rappresenta con minuziosa precisione alcuni dettagli di oggetti appartenenti al suo studio e, quindi, al suo vivere quotidiano, appuntandoli liberamente in un immaginario “block notes della memoria”, in cui si diverte a scomporre e ricomporre instancabilmente ricordi, pensieri e immagini che appartengono alla sua vita ma che, insieme, simboleggiano l’ossessiva e necessaria “resistenza” di ogni uomo all’oblio.

Il fascino sottile dell’arte di Daniela Giovannetti risiede proprio nella compresenza di piani diversi di ispirazione – dal riflesso delle più intime esperienze perconali ai più alti temi dell’esistenza – che convivono nella purezza di un’immagine sintetica scolpita dalla luce.

L’amorevole cura che l’artista impiega nel dar vita alle sue opere, attraverso la paziente stesura del colore a olio con la tecnica delle velature – non è solo l’espressione di un’arte sapiente, che guarda ai grandi maestri fiamminghi – in particolare per ciò che concerne l’uso della luce – ma è anche, e soprattutto, frutto della profonda necessità interiore di rappresentare le “cose” semplicemente per quello che sono, afferrandone, così, la natura più segreta.


Chiara Cinelli, marzo 2012